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Cosa si intende per dipendenza affettiva?

Il lavoro più naturale, eppure il più complesso: costruire un legame genitori-figli sano, che dia contemporaneamente sicurezza e autonomia al bambino, è tutt’altro che semplice. Uno dei possibili rischi è quello della dipendenza affettiva, una modalità di relazione patologica che sottrae autonomia affettiva da ambo le parti e in particolare al figlio per il quale sviluppare autonomia emotiva sarebbe fondamentale nel suo percorso di maturazione. Analizziamo insieme questo tema, a partire da un caso di studio.

dipendenza-afettiva

“Andrea è un bambino di 6 anni che ha da poco iniziato la scuola elementare. I genitori, da un po’ di tempo, sono preoccupati perché tutte le mattine Andrea fa i capricci per lavarsi, vestirsi, non vuole fare colazione. Spesso piange di un pianto sfrenato ed incontrollabile. Quando arriva a scuola accompagnato dalla mamma o dal papà, Andrea non vuole staccarsi da loro. Spesso i genitori vengono chiamati dalla scuola perché il bambino lamenta mal di pancia o mal di testa molto forte. Quando è in classe Andrea non gioca con i compagni e, anche quando lo invitano a una festa o ad un’attività sportiva extrascolastica, dice di voler tornare a casa con i genitori. Anche il sonno è poco sereno: ha difficoltà ad addormentarsi se non ha un adulto accanto. I genitori hanno notato che l’unico modo per convincerlo a fare qualcosa da solo è rassicurarlo a lungo, spiegandogli che la mamma e il papà sono contenti che si diverta e non accadrà niente in sua assenza.

Il quadro descritto è tipico di un caso di dipendenza affettiva del bambino. Situazione tutt’altro che rara: in particolare con l’arrivo di settembre e l’inizio dell’anno scolastico, è possibile assistere a manifestazioni di ansia e preoccupazione da parte dei bambini, per il ritorno a scuola o per il passaggio da una scuola ad un’altra.

La preoccupazione per il distacco dai genitori o da una situazione conosciuta (la vecchia scuola) è normale e fisiologica e scandisce le fasi della crescita: a volte, quando si sente la necessità di progredire, capita di avere dei momenti di crisi di riavvicinamento in cui il bisogno di rassicurazione si fa più forte e si tende a mostrare resistenza al cambiamento. Una volta rassicurati dal contesto di cura però, i bambini continuano nel loro percorso di esplorazione e di maturazione.

Dipendenza affettiva del bambino: quando preoccuparsi

Come comportarsi di fronte a un bambino che non vuole staccarsi dai genitori?

Qualunque genitore si sia trovato a dover gestire una problematica di questo tipo sa bene quanto possa essere difficile. Bisogna essere attenti a non sottostimare la sofferenza del bambino ma, allo stesso tempo, essere cauti nel rinforzare comportamenti disfunzionali che non fanno altro che aggravare la problematica.

Una strategia che può essere utile adottare è quella di osservare i comportamenti del bambino chiedendosi:

  • Dove è avvenuto?
  • Quando?
  • Con chi?
  • Cosa era successo prima?
  • E cosa è successo dopo?

Può essere altrettanto utile organizzare queste osservazioni in forma scritta, in modo da non dimenticarle e poterci ragionare nel medio periodo.

Ma se questi momenti di crisi non diminuiscono e, anzi, si consolidano sempre di più e soprattutto in situazioni ben definite, il campanello d’allarme deve suonare e far riflettere sulle modalità di azione da intraprendere.

Come interpretare il malessere del bambino?

È necessario innanzitutto chiarire che questi non sono capricci, ma sono l’espressione di bisogni ed emozioni reali che vengono provate dal bambino: sono sconsigliati commenti negativi o spazientiti, e soprattutto, da evitare, sono le comparazioni con gli altri coetanei: “Ma perché ti lamenti così tanto? Sei così grande e ancora fai i capricci? Non vedi gli altri come si comportano? Smettila subito!”

Una prima strategia potrebbe essere quella di chiedere al bambino cosa sta pensando in quel momento e quali sono le sue preoccupazioni che sono talmente forti da impedirgli di vivere tranquillamente il distacco. È importante non pretendere troppo dal bambino, in termini di forza, sicurezza o attività che dovrebbe fare. Se rassicurare o allentare la pressione sulle attività non dovessero bastare per ridurre l’agitazione del bambino, si può pensare di mettere in atto ulteriori strategie, collaborando con gli insegnanti e/o tramite il sostegno di uno psicologo.

 

Ansia nei bambini: cosa fare?

È importante spiegare al bambino che cos’è l’ansia. Sapere che si tratta di una normale emozione normale è tranquillizzante ed aiuta a dare un nome alla sensazione, oltre a spiegare che l’ansia non sarà perenne ma che si attiva in situazioni pericolose, a volte anche quando il pericolo non c’è ma è solo un pensiero. Chiedere al bambino di spiegare quali sono le situazioni che lo fanno sentire ansioso e quali sono davvero le sue paure potrebbe essere un modo per aiutare a comprendere e a fargli comprendere meglio i suoi pensieri e le sue paure, rassicurandolo in modo mirato e specifico.

È importante non sminuire il sentire del bambino e non usare frasi come “Non pensarci, vedrai che passerà”. Il bambino potrebbe non essere in grado di “non pensarci” e potrebbe “non passare” (o quanto meno durare un tempo che per lui sembra risultare estremamente lungo). È bene parlare di come queste sensazioni siano sì dolorose e difficili da sostenere nel momento presente ma anche di come – certamente con sforzo e fatica – si siano però superate in altre occasioni, senza eventi traumatici conseguenti alla sua comparsa o alla separazione momentanea tra genitori e bambino. È utile inoltre mantenere un comportamento tranquillo e rassicurante sia durante la comparsa dell’ansia sia al momento della separazione: favorirà il bambino nel riconoscimento della situazione come “non pericolosa” e aiuterà la sua calma. Potrebbe essere utile favorire una routine di saluti prima del distacco, per renderlo meno repentino. In caso di problemi a frequentare la scuola, il rientro dovrebbe essere graduale ma costante.

Per quanto riguarda l’ansia da separazione fisiologica e concomitante alla crescita, tramite questi accorgimenti e strategie, il disagio esternato dal bambino nei momenti di saluto e attività individuale dovrebbe lentamente diminuire e sparire col tempo, per poi riapparire in presenza di eventi stressanti o cambiamenti significativi. Nel caso in cui l’ansia non subisse alcun cambiamento e diventasse talmente persistente da precludere il normale svolgimento delle attività nella vita del bambino e procurare un livello considerevole di sofferenza, potrebbe essere utile prendere in considerazione il consulto con un professionista per un supporto psicologico a bambino e genitori.

Perchè portare un bambino in psicoterapia?

Guarda il video della nostra psicologa, Dott.ssa Daniela Cirabolini

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